giovedì 5 novembre 2009

P.K.Dick, "La formica elettrica" : l'uomo, l'automa, la natura della realtà


La formica elettrica.
Un racconto filosofico
.

Philip K. Dick pubblicò "The Electric Ant" ("La Formica elettrica") nel 1969 (su Fantasy and Science Fiction, ottobre 1969).
Si tratta, come in molte altre storie di questo autore, di un racconto con diversi piani di significato. Quello più sottile e raffinato riguarda un tema che Dick ha trattato nella maggior parte delle sue opere narrative: la natura della realtà e di come noi la percepiamo, il rapporto tra "spazio interiore" e realtà esterna.

Cover di Hard Boiled , di Frank Miller & Geoff Darrow,
ispirato al racconto di P.K.Dick


Lo stesso autore dichiarò:
Dick said: (da Wikipedia, English Edition)
"Again the theme: How much of what we call 'reality' is actually out there or rather within our own head? The ending of this story has always frightened me ... the image of the rushing wind, the sound of emptiness. As if the character hears the final fate of the world itself."

Poichè l'ho scelto come titolo (e ne ho rubato il nome del protagonista) mi sembra giusto riportare alcune parti - per me molto "significative" - del racconto "The Electric Ant" (tradotto in italiano alla lettera, "La formica elettrica") :

Alle quattro e un quarto del pomeriggio, T.S.T., Garson Poole si risvegliò nel suo letto d'ospedale, si rese conto di trovarsi in un letto d'ospedale, in una stanza a tre letti, e si accorse anche di altre due cose: che non possedeva più la mano destra e che non provava dolore.

Devono avermi somministrato un forte analgesico, si disse posando lo sguardo sulla parete di fronte, e sulla fi­nestra che dava sul centro di New York. Una vera e pro­pria ragnatela nella quale veicoli e pedoni sfrecciavano illuminati dal sole del tardo pomeriggio. La brillantezza di quella luce calante lo riempì di piacere. Non se n'è an­cora andata, pensò. E nemmeno io.

Sul tavolino accanto al letto c'era un telefono; dopo un attimo di esitazione sollevò il ricevitore e formò un numero esterno. Lo schermo si illuminò e mostrò il vol­to di Louis Danceman, che lo sostituiva alla guida della Tri-Plan mentre lui, Garson Poole, era assente.

«Grazie a Dio è vivo» disse Danceman nel vederlo; il suo viso grosso e carnoso, e butterato come la superficie lunare, si rilassò per il sollievo. «L'ho chiamata tutto il...»

«Non ho più la mano destra» lo interruppe Poole.

«Non si preoccupi. Voglio dire, gliene metteranno una nuova.»

«Quanto tempo è che sto qui?» disse Poole, domandandosi dove fossero andati a finire i medici e le infer­miere; come mai non erano venuti a scocciarlo perché stava telefonando?

«Quattro giorni» rispose Danceman. «Qui allo stabili­mento va tutto a gonfie vele. Siamo riusciti ad assicurarci ordini da tre diversi sistemi di polizia, tutti sulla Terra. Due in Ohio e uno in Wyoming. Ordini grossi e sicuri, con un terzo di anticipo e la solita opzione di affitto triennale».

«Venga a tirarmi fuori di qui» disse Poole.

«Non posso farla uscire finché non l'hanno...»

«La mano me la farò rimettere più tardi.» Desiderava disperatamente ritornare al suo ambiente familiare; il ri­cordo del mercantile che appariva, indistinto e grotte­sco, sullo schermo della cabina di guida si agitava anco­ra in fondo alla sua mente. Se chiudeva gli occhi poteva rivedersi nello scafo danneggiato mentre precipitava rimbalzando da un veicolo all'altro, accumulando danni enormi. Le sensazioni cinetiche... sussultò, a quel ricor­do. Posso dire di essere stato fortunato, pensò.

«C'è Sarah Benton lì con lei?» domandò Danceman.

«No.» Naturalmente. La sua personale segretaria -seppure solo per motivi di lavoro - sarebbe giunta di lì a poco, per ronzargli intorno e trattarlo in quel suo modo sciocco e infantile. A tutte le donne di corporatura mas­siccia piace coccolare la gente, pensò. E sono pericolose; se ti cadono addosso possono ucciderti. «Forse è questo che mi è successo» disse ad alta voce. «Forse Sarah è ca­duta addosso al mio autogetto.»

«No, no; una barra di accoppiamento del piano stabi­lizzatore di manovra del suo veicolo si è spaccata in mezzo al traffico dell'ora di punta e lei...»

«Sì, me lo ricordo.» Si girò nel letto mentre la porta della stanza si apriva; apparvero un dottore vestito di bianco e due infermiere con la loro uniforme azzurra, e si diressero verso il letto. «Ci sentiamo più tardi» disse Poole, e riappese. Poi respirò a fondo e rimase in attesa.



«Non avrebbe dovuto telefonare così presto» disse il dottore mentre studiava la sua cartella clinica. «Signor Garson Poole, proprietario della Tri-Plan Electronics. In­ventore di raggi di identificazione che segnalano la pre­da in un raggio di mille miglia, rispondendo semplice­mente alle lunghezze d'onda encefaliche. Lei è un uomo di successo, signor Poole. Ma, signor Poole, lei non è un uomo. Lei è una formica elettrica.»

«Cristo» esclamò Poole, sbalordito.

«Perciò, adesso che l'abbiamo scoperto, non possia­mo curarla qui. Ce ne siamo accorti, naturalmente, ap­pena esaminata la sua mano destra ferita; abbiamo visto i componenti elettronici, poi abbiamo fatto l'esame ai raggi X del suo torace, ed esso ha confermato la nostra ipotesi.»

«Che cos'è» domandò Poole «una "formica elettri­ca"?» Ma già lo sapeva; era in grado di intuirne il signifi­cato.

Un'infermiera rispose: «Un robot organico».

«Capisco» disse Poole, mentre un sudore freddo gli bagnava ogni parte del corpo.

«Lei non lo sapeva» disse il dottore.

«No.» Poole scosse la testa.

Il dottore continuò: «Più o meno ogni settimana ci ca­pita una formica elettrica. O la portano qui perché è sta­ta vittima di un incidente - come lei - oppure si ricovera volontariamente... e si tratta sempre di individui, come lei, a cui non è mai stato detto nulla, che sono vissuti fianco a fianco con gli esseri umani, ritenendosi essi stessi umani. Quanto alla sua mano...» Fece una pausa.

«Lasci perdere» rispose rabbiosamente Poole.

«Si calmi.» Il dottore si piegò verso di lui, osservandolo attentamente in volto. «Un'ambulanza dell'ospedale la trasferirà a una stazione di servizio dove la sua mano potrà essere riparata, o sostituita, a un prezzo ragionevole, a sue spese, se lei possiede degli averi, oppure a spese dei suoi proprietari, se ce ne sono. In ogni caso lei ritornerà dietro la sua scrivania alla Tri-Plan, e funzionerà perfettamente come prima.»

«C'è solo una differenza» ribatté Poole. «Adesso so.» Si domandò se Danceman o Sarah o qualcun altro del­l'ufficio ne fosse a conoscenza. Forse essi, o uno di essi, lo avevano acquistato? Lo avevano progettato? Un uomo di paglia, si disse; ecco quello che sono stato. In realtà non ho mai diretto la società; mi hanno impiantato dentro quest'illusione quando mi hanno costruito... insieme all'illusione di essere vivo e umano.

«Prima di trasferirsi alla stazione di servizio» disse il dottore «vorrebbe essere così gentile da saldare il conto al tavolo di fronte?»

Poole replicò acidamente: «Il conto di che cosa, se qui non curate le formiche?».

«Per i nostri servizi» rispose l'infermiera. «Fino al momento in cui ce ne siamo accorti.»

«Preparatemi pure il conto» disse Poole, fremendo di una rabbia impotente. «E mandatelo alla mia società.» Con uno sforzo non indifferente riuscì a mettersi a sedere; poi, con la testa che gli girava, scese dal letto e posò i piedi a terra. «Sono ben felice di andarmene da qui» disse mentre si metteva in piedi. «E vi ringrazio per le vo­stre umane attenzioni.»

«Grazie a lei, signor Poole» replicò il dottore. «O forse dovrei dire semplicemente Poole.»

Alla stazione di servizio gli sostituirono la mano mancante.

Quella mano lo affascinò. La esaminò a lungo, prima di consentire ai tecnici di applicargliela. Vista da fuori appariva organica... e in effetti, in superficie lo era. Una pelle naturale ricopriva una carne naturale, e le vene e i ca­pillari contenevano sangue vero. Ma, sotto tutto ciò, scintillavano fili e circuiti, parti miniaturizzate... osservando bene l'interno del polso vide minuscoli filtri, motorini, valvole multistrato, tutto miniaturizzato. E complesso. E... la mano costava quaranta crediti. Una settimana di paga, almeno a quanto risultava dal libro contabile della società.

«È garantita?» domandò ai tecnici mentre gli saldavano "l'osso" della mano al troncone del braccio.

«Novanta giorni, materiale e mano d'opera» rispose uno dei tecnici. «A meno che non se ne sia fatto un uso anomalo o volutamente lesivo.»

«Un modo di esprimersi piuttosto allusivo» disse Poole.

Il tecnico, un uomo - erano tutti uomini - replicò, lanciandogli un'occhiata tagliente. «Ti sei spacciato per un uomo?»

«Involontariamente» rispose Poole.

«E adesso lo farai volontariamente?»

«Proprio così» disse Poole.

«Sai perché non te ne sei mai accorto? Eppure deve esserci stato qualche indizio... ticchettii e ronzii interni, di tanto in tanto. Tu non te ne sei mai accorto perché sei stato programmato a non accorgertene. Adesso troverai la stessa difficoltà a scoprire perché sei stato costruito e per chi hai lavorato.»

«Uno schiavo» disse Poole. «Uno schiavo meccanico.»

«Ti sei divertito.»

«Ho fatto una bella vita» disse Poole. «Ma ho lavorato duro. »

Pagò i suoi quaranta crediti alla stazione di servizio, piegò le nuove dita, le mise alla prova sollevando oggetti disparati e se ne andò. Dieci minuti più tardi si trovava a bordo di un mezzo di trasporto pubblico diretto a casa. Era stata una giornataccia.

A casa, nel suo appartamento monocamera si versò un sorso di Jack Daniels Purple Label - sessanta anni di invecchiamento - e si sedette in poltrona a sorseggiarlo, fissando attraverso l'unica finestra il palazzo sull'altro

lato della strada. Devo andare in ufficio? si domandò. In caso affermativo, perché? In caso negativo, perché? De­ciditi, Cristo, pensò, ti butta giù, sapere una cosa del genere. Io sono un mostro, si rese conto. Un oggetto inani­mato che scimmiotta un essere umano. Però, si sentiva vivo. Eppure adesso c'era qualcosa di diverso dentro di sé. Ed anche gli altri alla Tri-Plan, soprattutto Dance-man e Sarah, gli apparivano diversi.

Penso che mi ucciderò, si disse. Ma probabilmente sono programmato a non farlo; sarebbe un dispendio di denaro a tutto svantaggio del mio proprietario. E lui di certo non lo permetterebbe.

Programmato. Da qualche parte dentro di me, pensò, c'è una matrice fissata al suo posto, uno schermo retico­lare che mi taglia fuori da certi pensieri e da certe azioni. E mi costringe invece a farne certe altre. Io non sono libero. Non lo sono mai stato, ma adesso lo so; e la differenza è tutta qui.

Dopo aver opacizzato la finestra accese la luce in mezzo, e cominciò lentamente a togliersi gli abiti di dosso, uno ad uno. Aveva osservato con molta attenzione mentre i tecnici dell'officina gli riattaccavano la mano, e adesso aveva un'idea piuttosto chiara di come era fatto il suo corpo. Due pannelli principali, uno per coscia; i tecnici li avevano rimossi per controllare il complesso di circuiti interni. Se sono programmato, decise, probabilmente la matrice deve trovarsi li.

Il labirinto di circuiti lo scoraggiò. Ho bisogno di aiuto, si disse. Vediamo... qual è il codice telefonico del computer di classe BBB che noleggiamo per l'ufficio?

Sollevò il ricevitore e fece il numero del computer presso la sua sede permanente in Boise, Idaho.

«L'uso di questo calcolatore è assoggettato alla tariffa di cinque crediti al minuto» disse una voce meccanica. «Per favore tenete davanti allo schermo la targaregistra-spese.»



Lui lo fece.

«Al suono acustico lei verrà collegato al computer» proseguì la voce. «Per favore ponga le domande il più rapidamente possibile, tenendo presente che le risposte sa­ranno fornite in termini di microsecondi, mentre le sue domande richiederanno....» Abbassò il volume. Ma lo rialzò subito appena apparve sullo schermo l'unità di ingresso audio del computer; il quale si era trasformato a questo punto in una specie di orecchio gigantesco che prestava ascolto a lui... e a cinquantamila altri come lui, che da ogni parte della Terra gli sottoponevano i propri quesiti.

«Analizzami visualmente» disse al computer «e dim­mi dove posso trovare il meccanismo di programmazio­ne che regola i mia pensieri e il mio comportamento.» Attese, mentre dal videoschermo un grosso occhio attivo, provvisto di numerose lenti, lo esaminava; lui, solo nel suo appartamentino, si sottopose di buon grado a quell'esame.

Il computer rispose: «Rimuova il pannello del torace, applicando una pressione sullo sterno e poi spingendo all'infuori».

Poole obbedì. Una sezione del suo torace si staccò e lui la posò a terra, con la testa in subbuglio.

«Riesco a distinguere i moduli di controllo» disse il computer «ma non saprei dire quale....» Si interruppe, mentre l'occhio vagava sullo schermo. «Distinguo un rotolo di nastro perforato, montato sopra il meccanismo del cuore. Lo vede?» Poole, allungando il collo, guardò, e lo vide. «Devo interrompere la comunicazione» disse il computer. «Dopo aver esaminato i dati disponibili mi rimetterò in contatto con lei e le darò una risposta. Buon giorno.» Lo schermo si spense.

Strapperò il nastro dal mio corpo, si disse Poole. Era minuscolo... non più largo di due bobine di filo, con un analizzatore montato tra la bobina di emissione e quella

di riawolgimento. Non riuscì a notare alcun segno di movimento; le bobine sembravano inerti. Probabilmente entravano in attività appena si verifica una certa situa­zione, decise, e si sovrappongono ai miei processi ence­falici. Ed hanno sempre fatto così, in tutta la mia vita.

Allungò una mano e toccò la bobina di emissione. Tutto ciò che devo fare è strapparla via, pensò, e...

Lo schermo si riaccese. «Targaregistraspese numero 3-BNX-882-HQR446-T» disse la voce del computer. «Qui è BBB-307DR che si mette in contatto con lei per rispon­dere al suo quesito, della durata di sedici secondi, del 4 novembre 1992. Il rotolo di nastro perforato che si trova sopra il suo meccanismo cardiaco non è una unità di programmazione, bensì un congegno alimentatore di realtà. Ogni stimolo sensoriale ricevuto dal sistema neu­rologico centrale viene emanato da quella unità, e qua­lunque manomissione sarebbe pericolosa, se non addi­rittura irrimediabile.» E aggiunse: «Lei non sembra avere alcun circuito di programmazione. Ho risposto al suo quesito. Buon giorno». Lo schermo si spense.

Poole, nudo in piedi davanti all'apparecchio toccò ancora la bobina di nastro, con la massima cautela. Capi­sco, si disse furiosamente. 0 invece no? Quest'unità...

Se taglio il nastro, si rese conto, il mio mondo scomparirà. La realtà continuerà per gli altri, ma non per me. Perché la mia realtà, il mio universo, mi provengono da questo minuscolo congegno. Mentre si srotola lentamente, come una lumaca, fornisce i dati all'analizzatore, e questo a sua volta li fornisce al mio sistema nervoso centrale.

E sono anni che fa così, si disse.

Raccolse gli abiti e si rivestì, poi si sedette sulla grossa poltrona - un lusso trasferito nel suo appartamento dagli uffici principali della Tri-Plan - e si accese una sigaretta fatta col tabacco. Mentre posava il suo accendino con le iniziali incise sopra, la mano gli tremava; appog

giandosi allo schienale soffiò il fumo davanti a sé, for­mando una nuvoletta grigia.

Devo procedere con calma, si disse. Che cosa sto cer­cando di fare? Scavalcare la mia programmazione? Ma il computer non ha riscontrato alcun circuito di pro­grammazione. Voglio interferire sul nastro della realtà? E se è così, perché?

Perché, pensò, se riesco a controllare il nastro, controllo anche la realtà. Almeno per quel che mi riguarda. La mia realtà soggettiva... è tutto ciò che conta, per me. La realtà oggettiva è una costruzione sintetica riguar­dante un'ipotetica universalizzazione di una moltitudine di realtà soggettive.

Il mio universo è qui, fra le mie dita, si rese conto. Se solo riesco a capire come funziona quel dannato aggeg­gio. In origine volevo solo cercare d individuare il mio circuito di programmazione, in modo da poter ottenere un effettivo funzionamento omeostatico: il controllo di me stesso. Ma adesso...

Adesso avrebbe potuto ottenere non solo il controllo di se stesso, ma il controllo di tutto.

E questo mi rende diverso da qualsiasi essere umano sia mai vissuto e morto, pensò lugubremente.

Si diresse al telefono e formò il numero del suo ufficio. Quando ebbe Danceman sullo schermo, gli disse senza preamboli: «Voglio che mi mandi a casa una serie completa di microstrumenti e uno schermo amplificato­re. Sto lavorando su alcuni microcircuiti». Poi interruppe la comunicazione, non avendo alcuna voglia di dare spiegazioni.

Mezz'ora più tardi qualcuno bussò alla sua porta. Quando aprì si trovò di fronte a uno dei capireparto, carico di microstrumenti di ogni tipo. «Lei non ha specificato esattamente che cosa le serviva» disse il caporeparto, entrando nell'appartamento. «E così il signor Danceman mi ha fatto portare tutta questa roba.»



«E il sistema di amplificazione ottica?»

«È nel camion, sul tetto.»

Forse ciò che voglio, pensò Poole, è morire. Si accese una sigaretta, e aspettò, fumando, finché il caporeparto non ebbe trasportato nell'appartamento la pesante attrezzatura, insieme al generatore di energia e al pannello di controllo. È un suicidio, quello che ho intenzione di fare. Fu scosso da un brivido.

«Qualcosa che non va, signor Poole?» gli chiese il caporeparto mentre si alzava in piedi, alleggerito dal peso dell'amplificatore. «Dev'essere ancora piuttosto debilitato, dopo l'incidente.»

«Sì» rispose laconico Poole, e rimase rigido in attesa finché l'altro non se ne fu andato.


[...]

... ... ...

Nessun commento:

Posta un commento